Editoriali

Coachability

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...Precede 

Rieccomi. Come dicevo mezzora fa, che per voi sono tre righe, stavo scrivendo della coachability.

L’introduzione che segue è un generoso contributo di Franco Impellezzeri, che ringrazio fin da adesso.

La Coachability non ha una definizione precisa e condivisa. In letteratura scientifica è vista come l’atleta ascolta, impara e reagisce ai feedback e istruzioni (Piedmond et al. 1999). Altre definizioni estendono questo costrutto ad aspetti come fiducia e rispetto per il coach, onestà, integrità, bassi livelli di frustrazione, saper gestire pressione, maturità emotiva, capacità di lavorare in team e apertura ai cambiamenti (Favor et al, 2011).

Personalmente mi limito a descrivervi chi, secondo me, è allenabile.

Coachability

È allenabile quel ragazzo che si addestra per migliorare e non solo per divertirsi. Lo è chi riesce a sganciarsi dalla propria mentalità focalizzandosi su quello che si deve fare.  Perché spesso va fatto quello che non ci piace, quello che da soli non avremo mai né provato, né fatto. Ha una forte coachability il ragazzo che si lobotomizza, che non ti chiede mai perché, se, però, ma. Lo è chi ha fiducia incondizionata nel proprio allenatore anche quando non lo capisce o è duro, anche quando allo specchio ci si vede male, o si vive un periodo difficile.

coachability myhagi

L’atleta pronto a migliorare, una volta che ha ottenuto il suo programma, lo esegue pedissequamente senza chiedersi nulla, senza modificare niente, senza chiedere nulla, tranne le indicazioni per poterlo seguire correttamente. Perché le programmazioni si eseguono e non si interpretano. 

Personalmente in tanti anni ho allenato diverse migliaia di persone, siamo nel 2020 ed ho iniziato nel 1997, sono stato in sala 5 giorni su 7, per almeno 5/6 ore al giorno e tutte le persone che sono andate avanti avevano le stesse caratteristiche.

Quando gli dai un protocollo di lavoro si fidano ciecamente e ti chiedono solo quello che non comprendono per capire come vada fatto. Non chiedono nulla a nessuno che non sia tu che li alleni. Zero domande ad altra gente in palestra, zero domande ad altri atleti, appassionati o allenatori sui social. Lavorano e basta per poi tornano dopo 6-8 settimane migliorati.

Se hanno idee, iniziative, od intuizioni, te ne parlano prima e cercano l’eventuale autorizzazione. Sono precisissimi, puntualissimi, rigidissimi e quasi crudeli con sé stessi, sono maniacali e soprattutto non tollerano intromissioni esterne. Si affidano al coach in tutto e tra loro si instaura un rapporto simbiotico. Si parla moltissimo, ci si confronta tanto, ma in sala si diventa dei muli. Sono consapevoli che il coach non solo ha un’immagine d’insieme che a loro non è ancora accessibile, ma che nella sua mente esiste una strategia a lungo termine. Loro devono solo lavorare ed attendere.

Vi ho parlato spesso di Angelo ma oggi voglio raccontarvi di Alex

Alex

Quando mi ha cercato aveva solo un desiderio, avere gli addominali. Lo so può far ridere, sembra poco, sembra banale, eppure ci aveva già provato con molti altri allenatori.

Io a differenza di alcuni colleghi, AMO lavorare con la gente normale. Se avessi solo atleti da pedana avrei una strana forma di ribrezzo, non mi appartiene quel mondo, o quantomeno non mi appassiona tanto da voler essere solo quello. Ma soprattutto non trovo divertente lavorare solo con gente che cresce “facile”.

Certo, lo ammetto,  in questi anni ho imparato ad amare i percorsi di gara ed i backstage, ma 3,4 atleti sono il massimo che penso di poter gestire.

A me diverte lavorare con gente strana, che ha problemi strani, dato che sono mentalmente stimolanti. Se non riesco ad ottenere quello che voglio per loro, devo studiare, e se devo studiare vuol dire che devo andare a scavare in cose che ancora non conosco e quindi mi diverto. Con Angelo è stato cosi; lui è sicuramente uno stallone di razza, ma andare in gara è stata una sfida per tutti e due. Ho dovuto perdere mesi per capire come farlo salire dignitosamente su un palco ed ancora oggi, nonostante i podi, mi sto ingegnando per onorare una sfida che ho con me stesso e con lui.

Alex invece veniva da diverse esperienze, l’ultima era con un notissimo coach molto in voga. Quando mi mandò le foto della condizione base e quelle della condizione attuale, gli chiesi se avesse invertito le foto. Ma no. Ero imbarazzato perché per forma mentis mi rifiuto di commentare il lavoro dei colleghi, cosi come non do mai giudizi sul lavoro svolto dagli atleti seguiti da altri.

Il rapporto tra trainer

Non si dovrebbe mettere in dubbio il lavoro di un trainer davanti al suo atleta, MAI. Il rapporto allenato/allenatore è un rapporto di totale fiducia, è feeling puro. Se anche ingenuamente si instilla il tarlo del dubbio si spezza l’alchimia, e questo può letteralmente distruggere un atleta. E non esiste cifra economica che può giustificare un sogno in frantumi.

Sì, perché anche se molti non se ne curano affatto, i coach sono lo scrigno che protegge e coltiva i sogni e le speranze di chi li sceglie.

Altro che bancomat, altro che Rolex. Anzi già che ci sono vi svelo una cosa che forse è poco nota. Lo sapete che, anche in italia, alcuni allenatori non si fanno più pagare dai più forti atleti a livello professionistico? Pensate un po che stranezza, mentre da un lato si pensa a chi sale su un palco come ad un assegno col mallo, girando l’angolo scopri che dato che i Pro danno lustro sia alla Nazione, che ai coach che li hanno portati fin li, non pagano.

Ma torniamo a noi:

Alex si è rivelato da subito un fenomeno. È una macchina da guerra,  come Angelo, come tutti quelli con cui amo lavorare. Non è una questione di fisico o palco, ma di testa, è li che si è atleti o meno, ed io mi appassiono alla missione quando trovo un mindset corretto. È come se fosse un terreno fertile su cui posso fare attecchire le mie perversioni allenanti.

Alex è una goduria continua, ogni settimana un feedback

Alex feed

Foto check puntualissimi

alex foto

Moltissimi messaggi per condividere i momenti no, quelli buoni, le impressioni, ma anche solo per scherzare o scambiare pareri su tutto.

Un tacito accordo

Dico da sempre che è il trainer ad essere a servizio dell’allenato e mai il contrario.

Lo zainetto di pensieri e responsabilità è sempre caricato sulle spalle del coach, in modo che al ragazzo/a resti sempre e solo il piacere di allenarsi e la serenità per farlo bene. Gli insuccessi, anche se non è vero, sono sempre colpa di chi allena, mentre i successi, anche se non è vero neanche questo, sono sempre merito dell’atleta.

Il trainer fa il suo lavoro e viene pagato per questo, (ma vale anche se per passione lo fa gratis).

Ma se come detto, tutte le azioni di un allenatore hanno come unico scopo quello di fornire un servizio verso l’allenato, vorrà dire anche  che l’eventuale vittoria, od il successo in un determinato campo grazie al fisico e/o allo sport, sono un momento tutto dell’atleta. È lui che ha sudato in sala, è lui che ha fatto la dieta, è lui che si è organizzato per fare quadrare tutto (qualcuno direbbe, sacrificato). All’allenatore non resta che gioire di quella gioia e godere per aver ideato un’ottima strategia.

Però chi guida la vettura è sempre l’atleta, l’allenatore rimane una sorta di GPS che gli accorcia il tragitto, trova le vie secondarie per evitare il traffico, indica le soste, lo avvisa dei pericoli.

Ecco perché tutto funziona solo in presenza di una forte coachability. Se il coach indica una via, ma poi il driver cambia strada di continuo, interrompe il tragitto, fa a testa sua, decide, dubita, prova, rende nullo e difficoltoso il lavoro a chi gli da indicazioni. ( se vi va di approfondire ne ho discusso QUI e QUI )

A quel punto l’unica strada sensata è che il coach si divida agonisticamente dall’atleta non adatto.

Percorsi

Per farvi capire il percorso che si può fare totalmente a distanza con chi ha la mentalità corretta, ecco un paio di scatti. Ho scelto i primissimi e quelli pre Covid-19.

Coachability pre1 Coachability pre2
Coachability post1 Coachability post2

Comunicazione, attenzione e dettagli, sta lì tutto il gioco.  È bastato fargli capire a cosa doveva fare attenzione, qualche telefonata per insegnargli dei trucchetti ed aiutarlo ad autogestirsi, ed un bel po’ di video per correggere i movimenti.

Perché vi parlo di Alex come esempio di coachability? Perché quelli cosi sono rari, difficili da trovare. Non tutti sono predisposti a voler imparare e ragionare su quello che fanno.

Quando si sceglie di intraprendere un PERCORSO simile, si decide di fondersi col proprio allenatore per diversi anni. Sono delle maratone, non i 100 metri.

Bisogna avere voglia di scoprirsi, conoscersi, aprirsi e farsi conoscere, questo vuol dire anche svelare i propri punti deboli, le fragilità, ed essere disposti a condividere i momenti bui ma anche le gioie. Un allenatore infatti è anche un confidente e diventa una presenza stabile nella vita di un atleta.

Il bastone e la carota 

Per ruolo però il coach deve pretendere sempre di più, non deve dare mai il senso che quello che è stato fatto basta, deve stuzzicare, spronare, spingere, e questo vuol dire “cazziare”, riprendere, redarguire ed essere anche un pelo cattivi verso l’allievo. Ma non è essere stronzi, è solo che nessuno a cui viene detto che è buono, bello e bravo andrà avanti. I complimenti ricevuti dovranno essere veramente meritati e centellinati, per quello saranno veri e avranno un senso, per quello saranno un ulteriore stimolo.

Di ottime news Alex me ne da spesso, ma sta volta mi sono sentito in dovere di ringraziarlo. Lo so che non è l’unico ad aver rispettato le indicazioni, e lo so che dovrebbe essere normale, ma poi nel mondo reale ci vivo e so che non per tutti è così,  soprattutto in questo periodo difficile. Un garage, un po’ di attrezzatura, ed il percorso non solo non si è fermato, ma sta addirittura procedendo in meglio. Ha mantenuto fede alla sua missione e ha rispettato il mio impegno. Dorme in orario, mangia ad orario, non si lascia andare, anzi è sempre gasatissimo ed infoiato. Da parte di un amatore non è affatto un atteggiamento scontato.

Ecco i messaggi che hanno scaturito la voglia di scrivere queste righe.

Solo per info. Dalle foto viste in precedenza aveva avuto uno Spillover anomalo, e nonostante tutte le correzioni più passavano le settimane, più gli si inspessiva la pelle. So come ragiona e so come si allena, quindi il problema doveva essere in qualche dettaglio. Aveva anche mantenuto gli orari di sonno e pasti, e quindi non era quello. Allora abbiamo parlato delle fonti, del mixaggio e del timing. Ho capito subito il problema e con una telefonata, qualche spiegazione ed un piccolo esempio scritto da seguire….

coachability diet alex coachability chatt alex

Ma a cosa serve un allenatore?

A questo punto penso che non si possa continuare a parlare di coachability senza capire a cosa serve un coach.

Ovviamente posso continuare a dirvi come la vedo io sfruttando questo esempio pratico.

Parlando di Alex, dato che sul resto ci siamo, (o perlomeno servono dei personal che attualmente sono impossibili), lo sto educando a mangiare bene. Non che prima non lo facesse, ma ad un certo punto il diavolo si nasconde nei dettagli. Si tratta di nozioni complicate, magari note a tutti ma pur sempre complesse, ed il mio ruolo è renderle pratiche e fruibili.

Cosi come faccio con gli esercizi, sia con lui che con tutti gli altri.  Anch’essi sono complessi, eppure bisogna renderli semplici. E poi anche se nessuno ci riflette più, non è neanche semplice migliorare uno schema motorio, un’attivazione o un effort. Non è affatto banale, o facile, insegnare a qualcuno a remare contro i segnali atavici di pericolo che gli lancia il cervello. Ma è così che si migliora. Perché il BB è prima di tutto questo.

Se un allenatore non insegna queste cose, se non è in grado di renderle fruibili degli elementi complessi, a cosa serve?

Se un allievo non è predisposto ad apprendere, a cosa gli serve farsi seguire?

Bisogna amare l’idea di allenarsi, ma bisogna anche capire che se l’allenamento, nel suo svolgimento, risulta piacevole è anche potenzialmente inutile. Mentre lo fate vi ritroverete spesso ad odiarlo. È come a scuola, dove non studiate solo le materie che vi piacciono e vi vengono semplici ma anche quelle che vi fanno schifo. Perché sarà lì, da qualche parte, che si nasconde la chiave di volta che vi serve. La cosa positiva è che, se questa disciplina fa per voi, vi ritroverete ad amare anche l’odio dei workout.

Se da educatori non vi comportate cosi, se pensate che tutto questo non sia compito vostro, o peggio se vi annoia,  sarete solo dei venditori di schede o diete.

Se da allievi non vi appassionate alle difficili sfide che una disciplina che dura h24, per 365 giorni l’anno, e per 10-15-20, ed oltre, anni, vi pone, allora siete semplici frequentatori di un centro fitness.

Chi ha bisogno di essere allenato?

Più siete avanzati, più avrete la necessità di essere seguiti da qualcuno adeguato a voi.

trainer goku Se inizialmente per migliorare vi basta uno spaccia schede e ricette fit, ad un certo punto avrete bisogno di qualcosa di molto più evoluto di un conta ripetizioni.

Se anche i Mr. Olympia hanno dei coach, voi pensate di saperne più un Dexter Jackson o di Ronnie Coleman? Dai su. Se loro nonostante le immense doti genetiche, la chimica, e la capacità estrema di stare in sala, possono migliorare fin oltre i 50 anni, voi siete ancora convinti che in due o tre anni siete arrivati al massimo del vostro potenziale? E daiiii

Poi è ovvio che più alto è il livello dell’atleta, più alta deve essere la capacità del coach. Insomma io non potrei allenare Kai Greene, ne avrebbe senso che mi facessi allenare da Patrick Tuor.

Mentre scrivo un ragazzo ha ripostato una mia frase su IG

“Non importa se siete delle seghe genetiche , allenatevi come se voleste diventare Ronnie Coleman”

Perché poi il punto è semplice. Un allenatore ti deve spingere oltre ogni tuo limite, ti fa progredire molto più rapidamente del normale, e ti svela delle potenzialità che non sapevi neanche di avere. Se sei un atleta a cui serve un coach, se te lo meriti, e sei pronto ad essere allenato, DEVE averti la pelle d’oca aspettando la tua nuova tortura. Il tuo prossimo passo verso il nuovo te stesso.

Aspetti negativi

Purtroppo questa disciplina negli anni è stata stuprata e violentata. Questo ambiente è stato infettato dalla mediocrità, sopratutto in italia, dove si sono tutti convinti che se ti sforzi un po’ poi ti rompi. È pieno di ragazzini di 17 anni che hanno paura delle lesioni muscolo tendinee, e che senza un demente dietro, magari laureato, che li aiuta a sollevare i loro incredibili 4kg di alzate laterali, non si allenano, ne si sentono sicuri.

Ma un pilota di F1 che ha paura della velocità lo avete mai visto? Ed allora prima di pensare di avere limiti genetici, prima di accusare chi ci dedica più tempo di voi, prima di parlare di chimica, perché non iniziate a muoverli sti cazzo di pesi?

Perché ormai i coach, se non sono dei totali idioti, sono diventati un bignami di ricerche pubmed, ed i “clienti”, (che termine schifoso), arrivano pieni di paure e preconcetti. Nessuno si sa più allenare, e lo vedete dai carichi. Quanta gente conoscete che fa più di Panca che di Squat?

Per mezzo sito ho blaterato sull’importanza di essere forti, vuoi perché la forza è l’anabolizzante dei natural, vuoi perché è possibile apprendere qualcosa da un esercizio, e quindi comprendere come funziona il nostro corpo, solo se questo viene sottoposto allo stress di un carico degno di nota (per noi). Altrimenti è fuffa.

Cosa si impara attraverso un esercizio con un carico sub-massimale? Se avete bisogno di leggerlo probabilmente dovete cambiare hobby.

Quarantena

Ad inizio quarantena hanno lanciato una challange su IG. Virtualmente era anche un’idea molto carina che si basava sul massimo numero di PushUp che si riuscivano a fare.  Ecco il dramma.  Su una 50ina di utenti che nel profilo segna PT, Coach di qualcosa, o Istruttore, come professione, ne avrò visti si e no 5,6 in grado di avere un’esecuzione decente. Ma se chi insegna ne sa meno di chi impara, cosa vi stupite a fare se poi il livello generale è così penoso?

Poi potrei anche capire un istruttore “anziano” che certe prestazioni, certi carichi, certe condizioni le ha già guadagnate in passato, ma se uno è giovane e non ha neanche idea di come arrivarci da solo? Ne vogliamo parlare?

Del vantaggio che trae il  marketing nell’abbattere il livello medio ne ho già discusso nella seconda parte di un mio mega articolone QUI

Ma come ti accorgi se qualcuno è privo di allenabilità?

È l’opposto di Alex e di Angelo. Devi inseguirli per avere un feed, devi avvisarli tu che sono a fine scheda, non segnano un carico, ne hanno traccia del punto da cui sono partiti e di quello in cui sono ora. Hanno sempre gli stessi carichi, sempre le stesse carenze e subiscono sempre gli stessi rimproveri. Perennemente statici, sempre identici a sé stessi, pieni di scuse esterne ed affogati nelle giustificazioni personali. Noiosi. Non hanno iniziative, proposte, idee, non ragionano su nulla. Non vivono “la scheda” come una serie di istruzioni per battere sé stessi in modo costante e perenne, ma come un elenco di cose da fare in modo svogliato, un po’ come quando la mamma gli ordina di sistemare la cameretta.

Se in un allenatore cercate la motivazione, la compagnia, lo smezzare la noia, avete bisogno di un cane e di un xbox.

Vale la pena investire in un trainer? 

Anni fa lessi uno studio, che purtroppo non trovo più, in cui si dimostrava che con un allenatore, un atleta amatoriale di medio livello incrementava le prestazioni del 36/38%. Questo dato da solo dovrebbe farvi capire benissimo l’importanza di farsi assistere.

Pensate adesso di quanto può essere più alta questa percentuale sui novizi. Ma soprattutto capite quanto possa essere basilare in gara, soprattutto in un circuito professionistico, ovvero tra atleti di elevatissimo livello, un vantaggio prestativo anche minimo.

Da soli inevitabilmente ci si arena sui propri stalli, seguiti, anche se lentamente magari perché avanzati, si migliora sempre. Solo che bisogna essere come i secchioni, se hai 5 devi volere 6, se hai 7 deve volere il 8, quando migliori devi pretendere sempre qualcosa in più. Se ti accontenti sei finito, perché qualcuno dei tuoi concorrenti non lo farà e alla fine verrai doppiato.

Ho mandato un S.O.S al mio BatMan Australiano, Franco Impellizzeri, per trovare tracce di ricerche su questi argomenti ed ecco cosa mi ha preparato.

“L’effetto positivo della supervisione del coach (> che non supervisionato) nel lavoro con i pesi è suggerito da vari studi sia per quanto riguarda atleti di discipline sportive (Coutts et al., 2004), persone moderatamente allenate (Mazzetti et al, 2000), sia in popolazioni specifiche a scopo più “salutistico” (Lacroix et al. 2017). La supervisione è comunque consigliata anche da NSCA in termini di riduzione degli infortuni che aumenta senza supervisione o per scorretta supervisione. Non ci sono lavori su atleti di alto livello nello sport anche perché la supervisione in quei contesti è di solito “scontata”. Però è ragionevole ipotizzare che effetto della supervisione sia in qualche modo legato al livello di coachability (ovvero abilità ad ascoltare, imparare e reagire ai feedback e istruzioni).” 

Vi lascio l’elenco completo degli studi a fine articolo.

E quindi chi non si fa seguire e non ha coachability che destino ha? Dipende.

Nella stragrande maggioranza dei casi il fallimento è totale e non è un caso se l’abbandono delle attività è un must. Ma è naturale che sia cosi. Se si continua a lavorare su delle cose che non portano mai a nulla, prima o poi ci si annoia e si lascia stare. In alternativa ci si buca, per poi scoprire che non cambia tantissimo.

In altri casi invece ci si mette a studiare e si inizia a dare una struttura in quello che si fa e quindi qualche risultato, anche se mediocre, arriva.

Dai Forum alla sala

Se ci pensate e li avete vissuti, è il motivo per cui funzionavano i forum. Ci postavi dentro quello che facevi, i tuoi progressi, le foto, e qualcuno ti inondava di consigli, critiche e tips, poi se eri sveglio capivi un attimo come ottimizzare le cose e davi un aggiustata.

Però questo prevedeva una condivisione di esperienze ed un voglia di capire e provare in sala, che era possibile perché la gente a quel tempo si allenava sul serio, oggi…. Vabbè lasciamo stare.

Adesso la cosa su cui dovreste riflettere è semplice: Se ad un’autodidatta bastava un forum per migliorare, un coach a che serve? E torniamo agli inizi di questo articolo.

Un insegnante, un consulente, chiamatelo un pò come vi pare, non solo vi fornisce le informazioni in modo rapido, ma lo fa mantenendo una linea di coerenza all’interno del percorso omogeneo. In ultimo, ma non per importanza, cura ANCHE tutto il contorno, un po’ come avete visto con Alex.

Io passo intere orate a spiegare alla gente perché si dorme in certi orari, perché si fanno i pasti in un certo modo, gli spiego i dettagli degli allenamenti, le finezze ed i trucchetti. Motivo le scelte che stanno dietro al tipo di lavoro che ho organizzato, perché spesso quello che si fa oggi può sembrare tutto l’opposto di quello che si faceva ieri ed è giusto che l’atleta abbia tutto chiaro. Queste tips continue mantengono vivo il focus.

Si tratta di stimolare le persone, di motivarle, di stuzzicarle e, se serve, sfidarle. Però siamo sempre con lo stesso problema, senza coachability è tutto inutile, perché poi tocca a loro fare le cose. Nessuno può mangiare, dormire, bere, allenarsi, motivarsi, mantenere il focus al posto vostro.

Un esempio? Sempre Alex (per chi non lo avesse notato usiamo dei Drive. In nero il feed ed in rosso la risposta)

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Il Dialogo

Insomma siamo pratici. È vero che in sala si lavora fino a sbiancare e vomitare, ma fuori dal nostro cantiere, la comunicazione deve essere la base. Ricordatevi che l’eventuale On Stage, (può essere una vacanza, un servizio foto ecc), si costruisce nel periodo Off e quindi la comunicazione deve essere tassante e massiva tutto l’anno.  Ecco perché vi dicevo che non è possibile lavorare bene se il coach deve inseguire l’atleta, così come diventa difficile al contrario.

Sono cose che ho già raccontato ma lo ripeto. Quando ci si sa allenare, non è la scheda che fa la differenza.

Angelo ha delle schede molto simili a quelle di altri ragazzi, così Alex o i ragazzi che seguo in sala. Non è che io strutturo schede diverse se seguo qualcuno da privato o da istruttore, però programmazioni paritarie hanno effetti diversi su diverse persone. Ma se sono seguiti tutti con le stesse accortezze, personalizzazioni e criteri cos’è che fa la differenza?

È ovvio che non sia il metodo od il protocollo, perché siamo nel 2020 e spero che lo avete capito che non esistono ste cose. Cioè siete coscienti che chi dice di avere un metodo è un cazzaro vero?

La differenza sta tutta nel rapporto che si instaura con chi alleno. Cioè se ci si dedica impegno e voglia, un coach passabile fa migliorare un’atleta anche con una scheda presa da Men’s Health, mica serve la programmazione di Rambod. Sapete quante volte ho chiesto ai ragazzi di venire in sala con la loro scheda, che io avrei visto solo in quel momento, ma che poi avrebbero dovuto fare come dicevo io? Spesso e volentieri finiva che con la loro “scheda leggera fatta dall’allenatore tanto per” al terzo esercizio vomitavano.

Vi do qualcosa su cui riflettere, poi fate voi. Avete notato che gli istruttori scarsi creano schede difficilissime, piene di percentuali, dati da seguire su mille tabelle, e una marea di cose indecifrabili? Ascoltatevi pure le interviste dei professionisti, di quelli bravi, e notate come con l’avanzare dell’esperienza si punti alla semplicità. Badate bene che semplice non vuol dire banale, né a caso od in modo ignorante.

Riflettete, non voglio influenzarvi in questo.

Il tempo

Ora vi ripeto una cosa che ho già scritto QUI e quindi non mi dilungo troppo, però a questo punto la reputo fondamentale.

Non si va alle elementari oggi e si finisce un master domani. Il rapporto tra coach ed allenato, come abbiamo visto, è estremamente lungo, in certi casi potrebbe essere infinito. Quindi un ultimo elemento da tenere presente se si parla di coachability, è che chi cerca un allenatore NON può pensare di provare 3-4 mesi, perché non servirebbe a nulla, non si può neanche pensare che sia il rapporto di una seduta ogni tanto e finisce la. Sono percorsi di vita in cui ci alla fine ogni allenatore avrà uno storico di ogni atleta, un po come il medico di famiglia ha un’anamnesi, con foto check, feedback, video, sfoghi ecc.

Che poi, se vogliamo chiudere con un ulteriore vena polemica, è il motivo per cui dovreste diffidare dai coach che hanno tremila assistiti. Quanto tempo possono dedicarvi? Chiunque faccia questo lavoro con po’ di serietà vi può garantire che per buttare giù un piano completo, volano come se nulla fosse 2,3 ore di lavoro, quanta gente puoi “sbrigare” in un giorno? Tre? Quattro? Mettiamo 6 giorni di lavoro a settimana? Sono una novantina di persona al mese. Se si fa solo quello. Ma poi fidatevi, che se qualcuno vuole salire su un palco richiede almeno il tempo di tre persone. Essendo realistici si lavora bene con non più di 40-60 atleti. Fatevi due conti in piena serenità.

 

Non odiatemi dai.

Ciao Ciao

 

Ancora una volta ringrazio infinitamente Franco che è sempre disponibile ad aiutarmi in queste ricerche strane.

Favor, JK. The Relationship between Personality Traits and Coachability in NCAA Divisions I and II Female Softball Athletes. International Journal of Sports Science & Coaching, 2011, 6(2), 301–314 

Piedmont, R. L., Hill, D. C. and Blanco, S., Predicting Athletic Performance Using the Five-Factor Model of Personality, Personality and Individual Differences, 1999, 27, 769-777.

Lacroix A, Hortobágyi T, Beurskens R, Granacher U. Effects of Supervised vs. Unsupervised Training Programs on Balance and Muscle Strength in Older Adults: A Systematic Review and Meta-Analysis. Sports Med. 2017 Nov;47(11):2341-2361

Coutts AJ, Murphy AJ, Dascombe BJ. Effect of direct supervision of a strength coach on measures of muscular strength and power in young rugby league players. J Strength Cond Res. 2004 May;18(2):316-23

Mazzetti SA, Kraemer WJ, Volek JS, Duncan ND, Ratamess NA, Gómez AL, Newton RU, Häkkinen K, Fleck SJ. The influence of direct supervision of resistance training on strength performance. Med Sci Sports Exerc. 2000 Jun;32(6):1175-84

National Strength and Conditioning Association: Strength and Conditioning Professional Standards and Guidelines, Strength and Conditioning Journal: October 2009 – Volume 31 – Issue 5 – p 14-38